lunedì 22 settembre 2008

Sig. Meibi 92_Stato di calma apparente

E come un animale da preda, imperturtarbile nel suo esserci, sembra che tutto intorno mi sia indifferente.
Questo perchè un corpo in prestito, che presumo non aver chiesto, cela un cuore impazzito per l'eterna attesa: sempre pronti, sempre attenti.
Per fuggire.
Ogni ombra è segnale: tu, piccola preda, potresti essere il prossimo pasto.
Scappa, qualsiasia cosa sia, scappa!
Ogni soffio è sussulto, e non c'è tempo in mezzo per decidere e pensare: devi scattare.
Adrenalina sulle labbra, il gusto metallico dell'eterna paura.
Non c'è giorno e non c'è notte, solo ansia.
Ansia per qualcosa che ti alita sul collo e sta per accadere, non ora, no... tra poco.

Urla nel cervello. Quelle di quando denti affilati affonderanno in gola, precedute da quel rumore sordo, come uno strappo, dei pelle che si divide in due. Urla per quando solo l'odore del sangue sarà reale, perchè, prima o poi, non ci sarà più confine, nè differenza, tra dentro e fuori.

Nelle sembianze spente, ogni tendine, in realtà, é dolente nello sforzo costante di sostenere l'arco teso sempre al limite.
E se scocca una freccia è panico, che stritola in abbraccio lento e doloroso. E' amante possessivo, mai sazio, dai baci gelidi che lasciano senza fiato, senza parole. E nonostante tutto, non puoi dirgli di no, perchè ti possiede quando vuole, ti strappa l'anima con morsi violenti, lasciandoti poi, nudo e tremante nella tua miseria.

Un suono: sussulto. Scatto come la lingua del camaleonte, con la differenza che sono la farfalla.

Tanta stanchezza, sulle spalle di Atlante c'è un mondo fatto di nulla chiamato paura.

Per favore, catturatemi una volta per tutte, dilaniatemi, fatemi a brandelli, che non rimanga una goccia di sangue nelle vene. Almeno sarà valsa l'attesa, almeno sarà stata vera, una volta, ma una per tutte e per sempre, così da non essere più un'attesa senza fine.

3 commenti:

leologismi ha detto...

Senza respiro scendo dai gradini con la vita che mi brucia dentro. Una goccia di sudore ad ogni gradino mancato. Scivolo al terzultimo passo e piego le caviglie per raccogliere il dolore e la paura. L’ombra mi insegue come un ombra, ma il rumore dei suoi passi ha più chili di quanto immagino. Arriverà da me tra due o tre rampe. Mi rialzo e corro più che posso pur sapendo che non posso più di quanto vorrei. La strada brucia più della vita. Piccole ferite che si aprono e marchiano l’asfalto come complici ignare del mio inseguitore. Le piante disegnate dei miei piedi scambiano la polvere ed il sangue, lasciando al loro posto i brividi di freddo ed i rimorsi.

Fuggo via, si vede?

Si. Ti vedo. E’ ciò che pensa il mio inseguitore che si trova a cento passi dal mio cuore scollato e a pochi passi dalla mia immaginazione.

Fuggo via senza voltarmi indietro, senza guardare avanti, senza evitare le buche più dure e nel terrore risuona buffa una canzone di Battisti che non riesco più a scacciare via.

Giro a destra verso l’erba per ridare un po’ di morbidezza ai piedi scalzi. Sento il fresco delle foglie e qualche spina si conficca ai lati del tallone, ed un’altra più pungente che tortura l’alluce sinistro. Il verde e la speranza sono figli di una diceria, perché non mi viene in mente nulla quando tutto il verde mi circonda e cado tra due rovi.

Mi rialzo e riprendo la mia corsa e dimentico il dolore, stringo i denti e ingoio con fatica la saliva mista al mio respiro sporco di stanchezza.

Fuggo via senza più sentire se qualcuno è ancora dietro ad inseguirmi.

Poi la sento.

Un brivido di ferro che si infila nella schiena e rimane sordo uscendo dallo stomaco come una fontana rossa che cerco di coprire e riparare con le mani. Il verde che si capovolge e vedo l’altra metà del mondo tinta di celeste e rami scuri che cercano la luce. Mi rigiro sopra un fianco abbandonandomi al sostegno della terra che riscalda inutilmente la metà di me crollata.

Sento scivolare via la vita e i suoi bruciori.

Guardo l’ombra avvicinarsi mentre ha il volto sempre più sfiancato e duro. Alza la sua mano e punta ancora la sua arma sui miei occhi e leggo che non ha più paura. Ci guardiamo ancora senza riconoscerci veramente, senza dialogare in profondità, senza ricordare che eravamo due bambini, che siamo nati insanguinati, disarmati e inermi, nello stesso modo, sulla stessa terra, tra la stessa specie, tra le stesse urla di passione. Non c’è tempo. La punta di piombo percorre la distanza che manca dalla canna alla mia fronte in molto meno in un secondo. Il mio cervello non può far altro che chiudere gli occhi dalla paura e dall’insopportabile rumore dell’ultimo rumore percepito.

Poi non so.

Perché più nulla so.

Tutto ciò per cui ho corso nella vita prima dell’ultimo rumoroso istante è spoglio di ogni significato. Gli ultimi neuroni infaticabili e spauriti si collegano a casaccio come operai intenti a sostenere il crollo di una diga con le mani nude. La lingue e le papille mandano scoordinate l’ultimo sapore a ciò che resta della massa ricettiva. Sembra sangue. Si, è il mio sangue, sono io. Si, sono l’ultimo io, prima e dopo il mio cuore fermo, che da qualche tempo inestimabile aveva smesso di partecipare.

L’ultimo io spaurito non lo conosco, e questo innumerato io che sta scrivendo più in là, in tutta coscienza e senza immaginazione non può arrivare…

Accontentatevi del nulla oltre queste righe, come mi sono accontentato io, dopo che superato il solco tra il nulla, la paura, il mio morire e il mio scrivere di morte, ho rinunciato ad immaginare il paradiso, la sconfitta, la reincarnazione, il non-essere agognato, i pascoli erbosi tra cui cacciare, un olimpo illuminato, un paio d’ali, un volteggiare sopra il mio presente che continua, un fiume islamico di latte e miele e cento donne da godere insieme, l’abbraccio con il Cristo, il giudice finale, il germanico Walhalla, la geena ebraica, Caronte e l’ade .

L’ultimo [rigo] e l’ultimo (io) saranno vuoti, a memoria futura di ciò che conoscerò, si, ma forse non potrò mai più raccontare..

[ ___________________________________ ] ( __ )

M@Mi ha detto...

Che canzone era?

leologismi ha detto...

"Si viaggiare".
Ma dubito che si ricordasse il titolo, sono quei flash assurdi della mente lasciata da sola a pensare.
Come se fosse slegata dal corpo e dal contesto, come se i neuroni e le sinapsi, sballottati come anfore in un carretto, collimassero a casaccio, toccando e mischiando olio, vino, olive e pensieri.
Mah..
Non so perchè ho inserito questa escrescenza off-topic della mente in mezzo ad una corsa contro il tempo e contro la morte.
La mente a volte fa così. Gioca anche con il proprietario illuso di possederla pienamente.
Le nostri menti nel paragone sono femmine e noi, tutti, siamo dei maschi totali.
Noi ci illudiamo di possedere pienamente la mente. Le nostre menti, pur avendo bisogno di noi per essere riconosciute, sanno sorridere e piangere da sole.
Cosi si protrae la demenza di tutta una vita, fino alla Menza Senile, in cui la mente da sola, possiede il 100% delle nostre azioni.