Illusione.
Apparenza.
Imvenzione della mente, dell'Io, mistificazione.
Costruzione di un dolore su altro dolore.
Credere di sentire, di esserci.
Sperare di non sentire, di non esserci.
Aspettare di non esserci più.
Non è stato vero.
O dire così è negazione?
Ci sono attimi ed emozioni che in sè stessi completano e modificano tutto: punti di partenza o di morte, a seconda.
Alle spalle hanno un percorso, dove ogni svolta riconduce all'apparenza di un destino da esperire o comunque inevitabile, dove ogni cosa sembra mossa da forze occulte per arrivare a quell'istante.
Invece davanti no, davanti a sè hanno e lasciano un vuoto assoluto.
Per scavalcarlo tutto viene - o deve essere - illusoriamente dimenticato, e poi riempito oppure magari risorgi dalle ceneri, come l'araba fenice, a vita nuova (forse).
Oppure ancora, muori. Si può morire anche senza saperlo e restare vivi, ma è solo per uno scherzo biologico ed una illusione, o farsa, d'esistenza.
E' talmente immensa la distanza tra il sentire attuale e quella di quel momento, ma al contempo è così presente nonostante il calendario scorra imperterrito, ed è un baratro così straziante l'impossibilità di ricucire lo strappo di ciò che è accaduto e di quanto si è sentito, che è come se non fossi io, come se l'avesse vissuto qualcun altro, come se non fosse mai stato vero, ma neanche immaginato.
E ripercorrerlo è rivivere una illusione attaccata alla pelle, alle ossa, all'anima.
Un cristallo enorme, davanti a me o in me, esplode in miliardi di schegge, ma nel momento dell'impatto, non si sa perchè, non si è prodotto alcun rumore.
Questo mi costringe, un secondo dopo l'altro, un millennio dopo l'altro, ad osservare incruedulo qualcosa che è successa ma non è accaduta nello stesso stesso tempo, a riimmaginare la dinamica infinite volte e sto qui aspettare, imprigionato nel paradossso, immoto, il suono dello schianto. Che non ci sarà.
Grido muto nel cervello.
Eppure è tutto qui, sempre con me, che esso sia ciò che rivedo mille volte o sia ciò che giace arrotolato e dormiente ancora custodito nell'oblio della dimenticanza, sempre qui, pronto a strisciare le unghie sulla lavagna ogni volta che le ciglia sfiorano le guance.
Ma, se non è stato vero, non dovrebbe fare così male.
Eppure lo fa.
Ma, se non è stato nemmeno immaginato non dovrebbe esserci.
Eppure sta sempre qui.
E anche se mi vedo, riflesso nero nel buio, e dico che non sono io, lo so che sono io. E il cristallo si ricompone, splendido e lucente, ancora ignaro della sua fine.
E subito dopo un altra scheggia del Tutto ancora intero, penerta vorace ancora più in fondo nel cuore e nella mente.
Fa male il paradiso perduto, esattamente come fa male quello che è stato il marchio dell'inferno.
Eppure non è possibile che sia stato vero.
Forse.
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